Sulla duplicazione/scissione del soggetto è incentrato l'intervento che Lacan propone
al convegno.
Il
messaggio linguistico proviene sempre dall'Altro. Le parole sono l'unico
materiale dell'inconscio
(21).
Non
sempre negli enunciati è possibile identificare il soggetto semplicemente con
chi parla o col pronome personale espresso, ma è evidente che essi derivano
sempre da "qualcosa" che li pensa.
L'inconscio,
precisa Lacan, “non è l'istinto o un pensiero sotterraneo: esso non è che un
pensiero mediante parole, con i pensieri che sfuggono al proprio controllo,
alla propria vigilanza”
(22).
Per
esemplificare la duplicità intrinseca dell'uomo, criticando l'idea di molti
psicologi di "personalità unificante", propone un ragionamento che
consideri invece, l'unità non come unificante, appunto, ma come unità numerica.
Ogni numero intero è una unità in se stesso. Vediamo però, che è la formula n +
1 in realtà a permetterci di contare ed è quindi alla base della vera
genesi dei numeri (interi). Prendiamo il 2. In base alla formula
n+1, osserviamo che il 2 si può generare solo se esiste l'1, ma l'1 a sua volta può esistere
solo se esiste il 2.
Finché
noi consideriamo il 2 come unificato, come unità, non abbiamo niente ma se il
due viene demarcato ovvero diviso (processo applicabile peraltro a qualsiasi
numero naturale), con esso si ha la possibilità di una classe, o serie. Il
problema del 2 è quello del soggetto.
Ci
deve essere in lui una ripetizione dell’uno perché si costituisca, ma questo
non significa che essa sia una duplicazione di identici ma semplicemente di
unità.
A
livello conscio, noi percepiamo l'unità e non avvertiamo più la ripetizione che
l'ha prodotta: il primo costituente, l'inconscio, è perduto. Intuitivamente (ed
anche spazialmente) questa idea può essere raffigurata da una linea "a 8
rovesciato" un nastro di Möebius, dalla bottiglia di Klein o da un toro.
Operando un taglio in queste topologie, si ottengono due figure scisse ma
indissolubilmente connesse.
"L'insieme
dei significanti costituisce quello che chiamo Altro"
(23)
ma in questo insieme un significante può o non può designare se stesso. È
questo, richiama Lacan, il paradosso di Russel nel quale è indecidibile se
l'insieme di tutti gli insiemi che non contengono se stessi come elemento,
contenga o meno se stesso come elemento (nel caso in cui infatti, si
supponesse che l’insieme I degli insiemi con tale proprietà, contenesse se
stesso come elemento, vedremo che per la proprietà dell'insieme stesso, che è
l'insieme degli insiemi che non contengono se stessi come elemento, non potrebbe
essere contenuto; ma se si supponesse che l'insieme non contenesse se stesso
come elemento, allora dovrebbe essere incluso di diritto all'interno
dell'insieme I, che è proprio l'insieme di tutti di insieme che non contengono
se stessi come elemento, cioè conterrebbe se stesso) tutto questo per dire che,
“in un universo di discorso niente contiene tutto”
(24).
E cioè il soggetto è costituito da un vuoto, la pienezza di senso gli è negata,
il significante glissa e non può comprendere il significato tutto intero.
“Il
soggetto dice e dicendo, diviene soggetto e sparisce. Prima dell'atto non era,
dopo l’atto non è più”
(25).
La
parola è, abbiamo detto, costituzionalmente, separazione, differimento,
"mancanza"(della fase non scissa precedente).
La
rappresentazione che l’uomo veicola
(26),
è tagliata via da lui, egli la porta ma è di altra provenienza, e veicolandola,
la sottopone a cambiamenti di senso a seconda dei significanti ulteriori coi
quali viene dialettizzarsi.
Il
linguaggio è dato da una “serie di tratti differenziali”
(27).
Il
significante è ciò che rappresenta il soggetto per un altro significante.
Poiché
ignoriamo “sotto il taglio di quale significante ci troviamo”
(28)
non sappiamo al tempo stesso a quale significante ci indirizziamo.
"L’io
è sospeso, perduto, cancellato tra i mille (...) significanti concatenati"
(29)
a sua insaputa. D'altra parte, direi, che anche nell'atto del parlare, poiché
il significante deve dialettizzarsi per assumere senso lo statuto della
significazione risultante, dipenderà dall'altro significante a cui
l'interlocutore assocerà (sempre inconsapevolmente) il primo; si arriva così ad
una ulteriore slittamento senza termini: (e qui è netta la matrice
poststrutturalista di Lacan). Non c'è una verità nel mondo della coscienza. La
sola possibile è nell'inconscio. Ma poiché l'inconscio è l'Altro della
coscienza, raggiungerlo implica l'annullamento come soggetto.
L'intervento
di Ruwet, posto in chiusura del convegno, propone alcune annotazioni
"sulla natura e i limiti del contributo che la linguistica può dare agli
studi letterali"
(30).
Innanzitutto,
puntualizza, l'oggetto di indagine -per linguistica e letteratura- non è lo
stesso, o almeno non completamente. La linguistica considera la concezione del
mondo dei parlanti come estranea ai suoi interessi, mentre per la letteratura
essa gioca un ruolo non eludibile.
Ruwet
cerca di ridimensionare il ruolo della "poetica strutturale” avvertendo
che si corre il rischio di scivolare in una estetica (strutturale) volta a
enfatizzare come assoluta l’importanza di quegli elementi formali che è in
grado di descrivere e catalogare.
La
linguistica, per l'autore, è sì, una valida disciplina ausiliaria ma da sola è
incapace di stabilire il valore di un testo; essa può analizzare l'apparato
fonico di un verso, ad esempio, ma non può rendere ragione della sua bellezza
(prova ne è che si possono trovare versi fonologicamente analoghi, ma non
ugualmente perfetti artisticamente).
Per
avvicinarsi alla bellezza del verso, bisognerebbe disporre anche di una teoria
del contesto, attualmente inesistente.
Ruwet
passa poi ad un'analisi della definizione Jacobsoniana di poesia: essa dice che
“il linguaggio poetico proietta le relazioni di equivalenza che di solito si
trovano sull'asse paradigmatico lungo l'asse sintagmatico”
(31)
ma, ribatte Ruwet, anche ammettendo che tale proiezione giochi un ruolo
importante, emerge il problema di "quali equivalenze debbano essere
considerate pertinenti"
(32),
dal punto di vista poetico, e quali no. E qui dobbiamo arrestarci.
L'analisi
e lo smontaggio di un’opera sono elementi necessari, ma non sufficienti a
chiarire cosa sia l'arte, cosa renda un testo poetico.
(Ruwet
prende poi in esame, su queste basi, la poesia "La gigantessa" di
Baudelaire e ne libera le equivalenze.)
Nel
dibattito che segue Todorov contesta lo scetticismo di Ruwet ma ammette che per
quanto concerne l'interscambio tra linguistica letteratura c'è ancora molto da
fare.
Roland
Barthes rifiuta di accettare la linguistica così com'è a scopo utilitaristico,
crede invece che proprio gli studi letterari la possano indirizzare e
modificare, attraverso le loro esigenze e indagini. Goldman conviene con Ruwet
che senza una teoria del contesto ci troviamo con dei dati che non sappiamo
bene come commentare e interpretare.
SDS.
NICOLA ABBAGNANO, Storia
della filosofia, volume settimo, La filosofia contemporanea 1, di Giovanni
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NICOLA ABBAGNANO, Storia
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[21] A ben guardare, infatti, anche qualsiasi metalinguaggio, presuppone, al suo interno, il linguaggio ‘semplice’; questo, secondo Lacan, a causa della natura linguistica dell’inconscio che è alla base di tutto. (torna al testo) |
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[25] J.-D. NASIO, Cinque lezioni sulla teoria di Lacan, Roma, Editori Riuniti, 1998, p. 155. (torna al testo) |
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